Che cos’è il diabete mellito-Le complicanze del diabete-Il piede diabetico, definizione-

Il microcircolo ha un ruolo nella evoluzione della lesione-Il piede diabetico neuropatico-Le funzioni della pelle-Dermopatie da riferire a danno diabetico-Le anomalie metaboliche nel diabete mellito-Stress ossidativi e complicanze-Meccanismi antiossidanti nel sistema nervoso-Antiossidanti e malattie neurologiche-Rassegna di lavori scientifici sull’effetto antiossidante del pycnogenol-Pycnogenol: - composizione chimica e proprietà farmacologiche - sinergismo tra azione antinfiammatoria e antiossidante - attività vasorilassante e microcircolo cutaneo - trattamento della cute - formulativa

Che cos’è il diabete mellito-Le complicanze del diabete-Il piede diabetico, definizione-Il microcircolo ha un ruolo nella evoluzione della lesione-Il piede diabetico neuropatico-Le funzioni della pelle-Dermopatie da riferire a danno diabetico-Le anomalie metaboliche nel diabete mellito-Stress ossidativi e complicanze-Meccanismi antiossidanti nel sistema nervoso-Antiossidanti e malattie neurologiche-Rassegna di lavori scientifici sull’effetto antiossidante del pycnogenol-Pycnogenol: - composizione chimica e proprietà farmacologiche - sinergismo tra azione antinfiammatoria e antiossidante - attività vasorilassante e microcircolo cutaneo - trattamento della cute - formulativa

 Che cos'è il diabete mellito

Il termine diabete mellito descrive un disordine metabolico ad eziologia multipla, caratterizzato da iperglicemia cronica con alterazioni del metabolismo di carboidrati, grassi e proteine, risultanti da difetti della secrezione insulinica, della azione insulinica o di entrambe. Le conseguenze del diabete mellito comprendono i danni a lungo termine, la disfunzione e l’insufficienza di vari organi. Il diabete mellito si può presentare con sintomi specifici come polidipsia, poliuria, annebbiamento della visione e perdita di peso. Nelle sue forme più severe, possono svilupparsi la chetoacidosi e uno stato iperosmolare non chetosico  che conducono all’obnubilamento del sensorio, al coma e, in assenza di una terapia efficace, alla morte. Spesso i sintomi non sono marcati o possono essere assenti e, di conseguenza, l’iperglicemia può causare modificazioni patologiche e funzionali, che possono essere presenti molto tempo prima  che venga fatta la diagnosi.

Gli effetti a lungo termine del diabete consistono nello sviluppo progressivo di complicanze specifiche, rappresentate da retinopatia con cecità potenziale, nefropatia che può condurre all’insufficienza renale e/o neuropatia con il rischio di ulcerazioni ai piedi , amputazioni, piede di Charcot e segni di disfunzione autonomica, inclusa  la disfunzione sessuale. Le persone affette da diabete hanno un rischio aumentato di malattia vascolare, cerebrale e periferica. Diversi meccanismi patogenetici sono coinvolti  nello sviluppo del diabete. Essi comprendono sia i processi  che distruggono le cellule beta del pancreas con conseguente deficit insulinico ed eventi che comportano una resistenza all’azione insulinica. Le anomalie del metabolismo di carboidrati, grassi e proteine sono dovute al difetto dell’azione insulinica sui tessuti bersaglio, conseguenza della insensibilità o della mancanza di insulina.

Il diabete mellito, a prescindere dalla causa sottostante, è suddiviso in: Richiedente insulina per la sopravvivenza (che corrispondenza alla classe  clinica  di “Diabete Mellito Tipo I, cioè con deficit di C-peptide; Richiedente insulina per il controllo, cioè per il controllo metabolico e non per la sopravvivenza, con secrezione endogena di insulina residua ma insufficiente per raggiungere la normoglicemia senza l’aggiunta di insulina esogena; Non richiedente insulina, cioè coloro che possono essere controllati in modo soddisfacente con metodi non farmacologici o con farmaci  diversi dall’insulina. Nell’insieme, le ultime due sottodivisioni corrispondono alla  classe clinica di Diabete Mellito Tipo II

Epidemiologia del diabete mellito

La patologia diabetica mostra una chiara tendenza, in tutti i paesi industrializzati, ad un aumento sia dell’incidenza sia della prevalenza.
L’accresciuta prevalenza nel mondo del diabete tipo 2, soprattutto legata all’aumento del benessere ed allo stile di vita, ha portato l’OMS a parlare di vera e propria “epidemia”. Stime e proiezioni sul periodo 1994-2010 indicano la triplicazione a livello mondiale dei casi di diabete mellito tipo 2. Per l'Europa Occidentale è stato previsto un aumento dei casi di diabete mellito tipo 2 del 27.5% dal 1994 al 2000 e del 54.9% dal 1994 al 2010. Il numero dei diabetici negli Stati Uniti (dove il diabete rappresenta la settima causa di morte) è salito da 1.6 milioni nel 1958 ad 8 milioni nel 1995, mentre in Italia la prevalenza è aumentata dal 2,5% (negli anni ’70) all’attuale 4-4,5%.
Anche per il diabete tipo 1 molti dati epidemiologici evidenziano un aumento dell’incidenza (circa il raddoppio per ogni generazione in taluni casi). Per l'Europa occidentale è stato previsto un aumento dei casi di diabete tipo 1 del 18.3% dal 1994 al 2000 e del 36% dal 1994 al 2010

Numero di diabetici nel mondo
(di età compresa tra i 20 e i 79 anni)

Asia sud-orientale - 49.0 milioni

Pacifico occidentale - 45.9 milioni

Europa - 32.2 milioni

Nord America - 21.4 milioni

Mediterraneo Orientale e Medio Oriente - 14.2 milioni

Sud e Centro America - 11.3 milioni

Africa - 2.5 milioni


La prevalenza del diabete nelle 7 aree del mondo

Popolazione totale - 5.8 miliardi
Popolazione adulta (20-79 anni) - 3.4 miliardi
Numero di persone con diabete (20-79 anni)- 177 milioni
Prevalenza di diabete stimata (20-79 anni) - 5.2%
Numero di persone con diabete di tipo 1 (tutti i gruppi di età) - 5.3 milioni
Prevalenza di diabete di tipo 1 stimata (tutti i gruppi di età)- 0.09%

(Dati 2001 International Diabetes Federation - IDF)

I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)

Nel 1985 i malati di diabete in tutto il mondo erano 30 milioni, nel 1995 135 milioni, nel 2001 circa 177 milioni. Nel 2030 saranno 370 milioni (+ 110%). 4 milioni di persone muoiono ogni anno nel mondo a causa del diabete (9% dei decessi globali). Il diabete mellito di tipo 2 rappresenta l’85-95% di tutti i casi totali di diabete dei Paesi sviluppati. Nel 1995 il continente con il più alto numero di diabetici era l’Europa, con 33 milioni di malati, seguito dalle Americhe con 31 milioni e dal Sud Est Asiatico con 28 milioni. I costi per il diabete di tipo 2 rappresentano tra il 3 e il 6 per cento della spesa sanitaria totale in 8 Paesi europei. In Italia nel 2030 i malati di diabete saranno 5 milioni 400 mila.

Le complicanze del diabete

Per gestire una qualunque forma di diabete è importante seguire un adeguato regime alimentare, una corretta terapia e un corretto schema di controlli per prevenirne le complicanze croniche.
Le maggiori complicanze che si possono sviluppare in presenza di diabete sono quelle legate alla compromissione dei vasi sanguigni, sia a carico dei grossi vasi che irrorano cuore, cervello e arti (macroangiopatia), sia a carico dei piccoli vasi che irrorano la retina dell'occhio, i nervi e il rene (microangiopatia).

Il piede diabetico

Sebbene svariate complicanze come cardiopatie, insufficienza renale e cecità, colpiscano seriamente, anche dal punto di vista economico, gli individui affetti da diabete, le complicanze che interessano il piede fanno pagare il tributo maggiore; il 40–70% di tutte le amputazioni delle estremità inferiori è correlata al diabete mellito. In alcune zone è stata registrata una percentuale pari addirittura al 70–90%. Negli USA vengono eseguite ogni anno più di 50.000 amputazioni associate al diabete. Sono state prodotte cifre equivalenti in altri paesi sviluppati e sottosviluppati. Ne consegue deformazioni e possono non rendersi conto di ripetuti microtraumi o di lesioni della cute del piede. La gamma di lesioni del piede varia fra le differenti aree del mondo in ispezioni del piede, grazie alla possibilità di aver accesso alla cura del piede e a calzature adeguate. Tuttavia, persino al giorno d’oggi la maggior parte dei pazienti diabetici non è sottoposta a regolari controlli delle estremità inferiori e non riceve cure appropriate.

Una combinazione di più fattori rallenta il normale processo di guarigione di un’ulcera e può favorire l’insorgere di un’infezione o di una gangrena, con conseguente lunga degenza ospedaliera ed amputazione. Fattori determinanti predittivi per l’esito delle ulcere del piede diabetico sono le infezioni, l’ischemia, il trattamento delle lesioni, la riduzione del carico, la neuropatia e la comorbilità. Queste problematiche necessitano di un approccio di gruppo multifattoriale e in genere multidisciplinare.

Epidemiologia del piede diabetico

• Approssimativamente il 40–60% di tutte le amputazioni non traumatiche degli arti inferiori sono eseguite su pazienti affetti da diabete.

• L’85% delle amputazioni delle estremità inferiori associate al diabete sono precedute da ulcere del piede.

• Quattro ulcere su cinque nei soggetti diabetici sono determinate da traumi esterni.

• La prevalenza di ulcere del piede varia fra il 4 e il 10% della popolazione diabetica.

Gli esiti più infausti in relazione ai problemi del piede diabetico sono le ulcere e le amputazioni. Grandi differenze dei tassi di amputazione sono state documentate in svariate nazioni e aree geografiche. Approssimativamente il 40–60% di tutte le amputazioni amputazioni al di sopra della caviglia tendono a sottostimare il numero totale delle amputazioni correlate al diabete. Pertanto, quando si registrano le amputazioni, dovrebbero essere presi in considerazione tutti i livelli di amputazione. Anche nei paesi sviluppati sembra che le amputazioni siano sottostimate, se non viene realizzato un sistema aggiornato di registrazioni. Tenuti presenti questi fattori, è verosimile che l’incidenza più comune delle amputazioni legate al diabete sia di 5–24 su 100.000 abitanti/anno, È stata riferita un’incidenza corrispondente del 2,2–5,9%. Va riconosciuto che la maggior parte di questi dati sono basati su studi trasversali di popolazioni di pazienti selezionati, composti da pazienti diabetici di età inferiore ai 50 anni. In studi focalizzati su soggetti più giovani, affetti da diabete di tipo 1 o di tipo 2, si è valutato che la prevalenza fosse compresa tra l’1,7 e il 3,3%, rispetto al 5–10%, la maggioranza dei pazienti era o di età più avanzata o affetta da diabete di tipo 2.


Quando si discute dei fattori di rischio per il piede diabetico, è importante distinguere tra fattori correlati alla neuropatia periferica e alla vasculopatia periferica, fattori legati allo sviluppo di ulcere del piede e fattori legati all’amputazione. Nella maggior parte dei casi, i fattori di rischio legati allo sviluppo di un’ulcera del piede sono stati considerati simili a quelli concernenti l’amputazione delle estremità inferiori. Ciò, tuttavia, non è stato dimostrato. Inoltre, gli studi che trattano dei fattori di rischio includono di solito pazienti diabetici di tipo 1 o giovani pazienti di tipo 2 seguiti da centri specializzati per la cura del piede, si riferiscono a campioni di piccole Sono stati indicati numerosi fattori legati allo sviluppo di ulcere del piede. Il sesso maschile è stato associato a un rischio aumentato di ulcere ed amputazioni nella maggior parte degli studi sul diabete di tipo 2, ma questi dati non sono stati confermati. C’è accordo unanime sul fatto che il più importante fattore di rischio uno studio di popolazione trasversale la proporzione delle lesioni neuropatiche, neuroischemiche e ischemiche era rispettivamente del 55%, del 34% e del 10%. Soltanto l’1% delle ulcere non era considerato legato al diabete. inoltre, in questo studio il 47% delle ulcere era ancora sconosciuto ai medici. La prevalenza di vasculopatia periferica nei soggetti diabetici, definita come insieme di sintomi o segni tra cui un indice gamba/braccio al di sotto dello 0,8–0,9 è stata stimata del 10–20% nella maggior parte degli studi.

Piede diabetico: definizione

Nella definizione riportata nel documento di consenso il piede diabetico viene definito come “ una condizione di infezione, ulcerazione e/o distruzione di tessuti profondi associate ad anomalie neurologiche e a vari gradi di vasculopatia periferica degli arti inferiori (secondo criteri stabiliti dall’OMS)”. I partecipanti al convegno hanno suggerito una definizione diversa e cioè “ piede con alterazioni anatomo-funzionali determinate dall’arteriopatia occlusiva periferica e/o dalla neuropatia diabetica” volendo estendere in questo modo la definizione a tutti quei soggetti diabetici che in assenza di ulcera sono a rischio di ulcerazione.

I problemi relativi all’allargamento della definizione sono di due ordini: il primo relativo alla definizione stessa che necessiterebbe a monte di un’adeguata definizione di neuropatia e di vasculopatia, con paramatri clinici-strumentali, possibilmente numerici, tali da permettere una univoca definizione dei soggetti a rischio, il secondo è un problema di natura socio-economica in quanto utilizzare una definizione così ampia significa allargare tale patologia a soggetti a rischio, che, come tali, implicano degli interventi di tipo preventivo ovviamente gravati da costi economici rilevanti dato che si rivolgono ad una popolazione molto più ampia. Si può prevedere comunque che tali costi permetterebbero in futuro di ridurre il numero di ulcerazioni e quindi i costi legati al loro trattamento.

Il microcircolo ha un ruolo nell’evoluzione della lesione

Quando si parla di microcircolo bisogna innanzitutto essere molto attenti alla terminologia per non assimilare microcircolo a microangiopatia diabetica.

Per quanto riguarda il microcircolo poi esiste una ulteriore possibilità di confusione legata alla terminologia utilizzata dai chirurghi i quali intendono come microcircolo le arterie più piccole, mentre nella nostra terminologia nel microcircolo si comprendono i capillari con le arteriole precapillari, le venule postcapillari e gli shunts arterovenosi. innanzitutto va sottolineato che il microcircolo nei secondario a caduta della pressione di perfusione per la presenza di una arteriopatia periferica, quando il flusso di sangue scende sotto una certa pressione di perfusione (es. 20-30 mmhg), il microcircolo si vasodilata e non è più in grado di rispondere alle diverse sollecitazioni, in maniera analoga a quanto succede in Per quanto riguarda poi le associazioni riportate tra la microangiopatia, e cioè retinopatia , nefropatia e le manifestazioni del piede diabetico, queste non hanno una relazione causa-effetto, ma probabilmente sono legate ad elementi comuni che nel diabete influenzano anche il rischio e l’evoluzione del piede diabetico quali il compenso metabolico, la durata di malattia etc.

Il Piede Diabetico > Piede Neuropatico

Il piede non è solamente un organo deputato al movimento: è un organo complesso che esplica la sua funzione fornendo informazioni al cervello sotto forma di sensazioni e ricevendo da questo ordini motori. Le informazioni sensitive ci avvertono della temperatura e delle asperità del terreno su cui camminiamo, della pressione esercitata sul piede e delle sollecitazioni che provocano dolore su di esso. La deambulazione è la conseguenza di ordini provenienti dal cervello che provvede a muovere in sincronia i muscoli del piede che si contraggono o si rilasciano, in sinergia con tutti i muscoli del corpo, in funzione della necessità del passo o della postura. La conservazione della temperatura, della idratazione cutanea e del trofismo avviene tramite fibre nervose che non dipendono dalla volontà ma che lavorano autonomamente, indipendentemente dalla coscienza. La neuropatia diabetica colpisce sia i nervi sensitivi (neuropatia sensitiva) sia i nervi motori (neuropatia motoria) sia i nervi vegetativi (neuropatia autonomica); il piede neuropatico pertanto è un piede in cui la neuropatia diabetica ha modificato l’equilibrio muscolare, la percezione degli stimoli, l’autoregolazione vegetativa, cioè tutte e tre le componenti nervose.

Neuropatia sensitiva

La neuropatia sensitiva colpisce le fibre nervose che inviano le sensazioni al cervello. La conseguenza più grave è la diminuzione della soglia del dolore che può assumere differenti livelli di gravità; alcuni pazienti hanno infatti piedi poco sensibili altri perdono a tal punto la sensibilità da poter sopportare un intervento chirurgico senza anestesia. La mancanza di stimoli dolorifici, che a prima vista può sembrare un vantaggio, si rivela in realtà una sciagura perchè il dolore è un sintomo che ci avverte che qualcosa ci sta danneggiando. Ad esempio, è il dolore che ci avverte che una scarpa è troppo stretta spingendoci a toglierla; se manca il dolore continueremo a calzarla per tutta la giornata e, quando la toglieremo, ci accorgeremo tardivamente della lesione ulcerativa che si è formata. Questo esempio non è riportato casualmente: nella letteratura medica si riscontra che oltre il 30% delle ulcere del piede nei diabetici sono causate da scarpe inadatte. Ugualmente, è il dolore che ci avverte se abbiamo i piedi troppo vicini al fuoco del camino o se la sabbia su cui camminiamo è piena di cocci di vetro o conchiglie che ci feriscono. La neuropatia sensitiva è quindi una patologia che consente ad un trauma di perdurare nel tempo tanto da determinare una lesione senza la percezione di alcun segnale premonitore. Oggi esistono metodi diagnostici semplici, poco costosi, innocui e rapidamente applicabili che possono rivelare precocemente la presenza di una neuropatia sensitiva Un metodo è la valutazione della sensibilità pressoria col monofilamento di Semmes-Weinstein (5.07 - 10 g). Questo semplice strumento, che sta comodamente nel taschino del camice, è costituito da un filo di nylon libero ad un’estremità e ancorato ad un "bastoncino" rigido all’estremità opposta. Questo filamento viene appoggiato su alcuni punti del piede, a livello della pianta e del dorso, e premuto sino a determinarne la flessione (piegamento). Il filamento comunemente usato si piega quando viene applicata una pressione superiore a 10 grammi; una riduzione o addirittura la scomparsa della capacità di riconoscere la pressione del monofilamento su tutti i punti del piede testati ci dice che il paziente ha una compromissione sensitiva pressoria. Il diapason e il biotesiometro, strumenti anch’essi di basso costo, di facile utilizzo e di poco ingombro, trasmettono sul piede una vibrazione di intensità variabile. Se il soggetto non avverte la vibrazione o la avverte solo a una soglia elevata (superiore a 25 V) significa che ha un deficit della sensibilità vibratoria. Se manca la sensibilità tattile e vibratoria possiamo essere certi che il soggetto che stiamo visitando ha un alto rischio di ulcerazione del piede e come tale deve essere attentamente seguito nel tempo.

Neuropatia motoria

La neuropatia motoria colpisce le fibre nervose che innervano i muscoli del piede. Queste fibre nervose sono deputate a dirigere i comandi del cervello ai muscoli, determinandone quindi i movimenti. Quando un nervo che va ad un muscolo subisce un danno, il muscolo stesso soffrirà reagendo con una involuzione: questa si esprimerà in termini di ipotrofia e atrofia. L’atrofia di un muscolo o un gruppo di muscoli porterà ad uno squilibrio tra muscoli o gruppi di muscoli. Tipicamente nel diabetico con neuropatia motoria si crea uno squilibrio tra muscoli estensori e flessori e un conseguente sbilanciamento tra le varie strutture tendinee che squilibreranno a loro volta le relative articolazioni. In parole più semplici, quando un muscolo si "retrae" perché si atrofizza, il tendine di quel muscolo trascinerà indietro l’articolazione sulla quale è inserito. Il risultato finale sarà la griffe delle dita (queste si atteggeranno in modo tale da ricordare gli artigli animali), la prominenza delle teste metatarsali o l’accentuarsi del cavismo del piede, etc. . Queste deformità possono coesistere nello stesso piede e, in taluni casi aggravare deformità già presenti (es. l’alluce valgo che peggiora il proprio grado di valgismo). Tutto questo porta a una deformazione del piede e ad una modificazione dell’appoggio plantare con una conseguente alterazione della superficie d’appoggio che si ridurrà a punti particolari (es. teste metatarsali, tallone). Tale sconvolgimento dell’appoggio del piede detemina un ipercarico (punto di maggior appoggio, quindi di maggiore pressione) in alcune aree e un carico minore in altre. L’organismo nel tentativo di difendersi da questo eccesso di carico irrobustisce il foglietto più superficiale della pelle, lo strato corneo, nelle zone in cui si sviluppa una maggiore pressione: è questo il quadro tipico delle callosità della pianta del piede, definita con il termine medico di "ipercheratosi" . L’ipercheratosi è un tentativo estremo del piede di difendersi dall’eccesso di carico, ma è una difesa labile nel tempo: se non si provvede a ridurre l’iperpressione in quel punto, a lungo andare si formerà un ematoma da schiacciamento e, perdurando l’ipercarico, inevitabilmente si produrrà un’ulcera . L’ipercheratosi è visibile all’ispezione del piede, ma un picco di iperpressione in punti specifici del piede, anche in assenza di ipercheratosi, è diagnosticabile con apposite carte podobarografiche o pedane podobarometriche che danno un’immagine visibile e/o numerica delle pressioni plantari.

La neuropatia autonomica

L’influenza della neuropatia autonomica è molto meno conosciuta e, probabilmente, meno rilevante rispetto al devastante impatto della neuropatia sensitiva e motoria. La conseguenza più immediatamente visibile della neuropatia autonomica è la secchezza (anidrosi) del piede dovuta al mal funzionamento delle fibre nervose che regolano l’attività delle ghiandole secretorie della cute . La secchezza può provocare fissurazioni (taglietti) della cute, soprattutto al tallone, che sono una facile porta di ingresso per i germi, anche a causa del diverso PH (grado di acidità della pelle) che si viene a creare per l’anidrosi. Un altro aspetto clinico facilmente visibile in un piede neuropatico e imputato alla neuropatia autonomica è l’edema della gamba e del piede; questo aspetto sembra essere legato ad una alterazione nella regolazione del microcircolo. Fisiologicamente il sistema autonomico simpatico determina una vasocostrizione a livello delle arteriole e controlla il flusso sanguigno cutaneo attraverso le anastomosi (vasi di collegamento) artero-venose. La neuropatia autonomica comporta una perdita del tono simpatico con relativa alterazione del flusso circolatorio in questo distretto. Aumenta infatti l’afflusso di sangue cutaneo che si evidenzia clinicamente con un aumento della temperatura; aumenta altresì la permeabilità capillare per l’aumento della pressione idrostatica nel microcircolo: questo è il meccanismo attraverso il quale si origina l’edema degli arti inferiori. Sembrerebbe infine che la neuropatia autonomica sia causa delle calcificazioni della parete arteriosa nella tunica media (la cosiddetta sclerosi di Monckeberg); questo aspetto è da tenere presente in particolar modo quando si va alla ricerca di una concomitante arteriopatia degli arti inferiori. La rigidità del vaso arterioso, infatti, determina una incomprimibilità dello stesso che, nello screening per arteriopatia, può falsare i dati rilevati con la misurazione dell’ABI (Ankle Brachial Index) con il Doppler e indurre di conseguenza l’operatore a ritenere neuropatico un piede che in realtà è neuroischemico (per l’approfondimento di questo argomento vedi il capitolo relativo al piede ischemico).

Le funzioni della pelle

Protezione (verso sostanze esterne dannose/trattiene sostanze necessarie) Secrezione (sebo e sudore) Assorbimento(sfruttata in terapia e cosmetologia per trasferire molecole al sangue) Difesa Immunitaria (antibatterica) Terminale periferico del SNC (sensibilità, stimoli termici, dolorifici, pressori, ecc.) Produzione (Vitamina D) La pelle ( o cute ) è formata da tre strati sovrapposti: l'epidermide ( il più esterno ), il derma ( subito sotto ), l'ipoderma ( cuscinetto di grasso posto fra il derma e gli organi sottostanti).

L'Epidermide

Ha uno spessore variabile, da 0,5 millimetri sulle palpebre a 4-6 millimetri sulla pianta del piede. Le cellule vitali sono i cheratinociti, così chiamati perché produttori di cheratina, la proteina che protegge la pelle e la rende impermeabile. I melanociti producono la melanina e ve ne sono in proporzione 5-10 per ogni cheratinocita; altre cellule dell'epidermide sono le cellule di Langerhans, prima linea delle difese immunitarie e le cellule di Merkel, sempre associate ad una fibra nervosa perché implicate nella funzione sensoria della pelle: si trovano soprattutto nei polpastrelli delle dita, nella mucosa delle labbra, nei follicoli piliferi.

Il Derma

Anche il derma ha uno spessore variabile che tende a decrescere con l'età; le fibre del derma sono prodotte dai fibroblasti. La funzione delle fibre elastiche è di dare elasticità alla pelle, mentre le fibre collagene sono deputate alla funzione di sostegno della struttura cutanea.

L'Ipoderma

E' formato da cellule adipose e contiene piccole vene ed arterie che servono al nutrimento di queste cellule. Negli uomini si sviluppa maggiormente a livello del tronco e dell'addome; nelle donne a livello delle cosce, dei fianchi e dei glutei. La Vascolarizzazione Derma ed ipoderma sono molto vascolarizzati; solo una parte del sistema vascolare della pelle serve per il nutrimento della pelle stessa: la funzione principale è quella della termoregolazione del corpo ( assicurare la temperatura corretta ). L'Innervazione La pelle è molto innervata ed ha una trama molto fitta di terminazioni nervose sensitive che registrano gli impulsi esterni e li trasmettono al cervello.

Non sono ancora ben note le caratteristiche della cute del paziente diabetico; è indubbio però che le alterazioni del metabolismo del glucosio così come sono in grado di modificare altri organi ed apparati, possano determinare alterazioni cutanee coinvolgenti la struttura anatomica e la funzionalità cutanea modificando anche fenomeni biochimici profondi e complessi. Sappiamo che il glucosio cutaneo totale (pari a circa il 77% della glicemia ) può superare la glicemia stessa nei pazienti iperglicemici, così come la glicosilazione del collagene , che aumenta nel diabetico anche a cute apparentemente sana, riduce la solubilità di questa proteina fondamentale per un corretto comportamento del derma . Siamo al corrente dell'esistenza di una microangiopatia del circolo superficiale cutaneo la cui importanza, non ancora ben definita, è sicuramente rilevante. Il corretto trofismo della cute è ridotto in un’alta percentuale dei pazienti diabetici. In essi si riscontra una pelle secca, assottigliata, desquamante e poco elastica, soprattutto ai lati del tronco, agli avambracci alle gambe ed ai piedi. Oltre a ciò è da segnalare come, anche per quanto riguarda la pelle, i meccanismi di difesa dalle infezioni siano ridotti. Da queste considerazioni risulta evidente come molteplici possono essere le alterazioni cutanee dovute al diabete o da esso favorite. A parte il piede diabetico, in cui le lesioni cutanee sono da rapportare alle modificazioni indotte dalla Neuropatia , con conseguente Osteoartropatia, e alle alterazioni circolatorie indotte dalla vasculopatia , e di cui si può dire che la cute fa le spese di una situazione estremamente complessa che coinvolge tutto l'arto.

Le Dermopatie da riferire a danno diabetico sono:

• Sindrome della gamba macchiata: si presenta con chiazze in cui sono presenti diverse alterazioni della pelle più o meno contemporaneamente; vi si notano piccoli tubercoli rilevati (papule) non pruriginosi che si appiattiscono evolvendo in croste o squame che cicatrizzano lasciando macchie brune. Queste manifestazioni interessano soprattutto la parte anteriore della gamba. La causa andrebbe ricercata essenzialmente nella micro angiopatia. Spesso tende a stabilizzarsi o a regredire spontaneamente.

• Necrobiosi lipoidica: inizia con placche rosso-violacee, rilevate di consistenza dura e di forma approssimativamente ovalare al cui centro si forma un'area depressa li sclerosi con cute pallida, giallastra, secca che in alcuni casi può tendere ad ulcerarsi. Anche in questo caso viene chiamata in causa la microangiopatia.
• Granuloma anulare generalizzato atipico: Il Granuloma anulare è una dermatosi relativamente frequente ad evoluzione lenta e benigna. È caratterizzata da piccoli elementi nodulari rilevati e di consistenza dura, posti uno di fianco all'altro fino a formare uno o più anelli, talvolta confluenti tra loro o concentrici. Nel diabetico le manifestazioni tendono ad essere numerose, talvolta simmetriche (g. a. generalizzato), altre volte di grande dimensioni, o infiltrate, o con fenomeni congestizi, o a placche (g. a. atipico). Queste manifestazioni possono avere un decorso estremamente lungo.
• Bullosis diabeticorum: è una dermatite bollosa che insorge a livello delle dita delle mani, degli avambracci, delle gambe e del dorso dei piedi. Le bolle sono normalmente a contenuto sieroso e tendono alla riparazione spontanea dopo la loro rottura quasi sempre senza esiti cicatriziali.
• Xantomi eruttivi: la dermatosi è caratteristica degli stati dislipemici; è costituita da ammassi di cellule istiocitarie ad elevato contenuto di grassi che vanno a costituire dei noduli di piccole dimensioni rilevati a cupola sulla pelle, tondeggianti, di colore giallastro; questa eruzione può interessare qualunque zona della cute.

Le anomalie metaboliche nel diabete mellito

Probabilmente, il più importante fattore metabolico alla base delle alterazioni vascolari è l’iperglicemia. L’iperglicemia cronica favorisce l’insorgenza e la progressione dellamicroangiopatia diabetica tramite diversi meccanismi fisiopatologici:

• L’attivazione della via metabolica dell’aldoso- redattasi, con accumulo di polioli. Nella maggior parte delle cellule, il glucosio può essere convertito in sorbitolo dall’enzima algoso-reduttasi, che utilizza gli esosi come substrato per la riduzione NADPH-dipendente ai loro rispettivi alcool zuccheri (polioli). In corso di iperglicemia cronica, si attiva l’aldoso redattasi che fa accumulare sorbitolo nei tessuti e il conseguente abbassamento dei livelli del pool cellulare di mioinositolo può determinare un’alterazione dei segnali intracellulari;
• La via del diacilglicerolo-proteinchinasi C. L’iperglicemia provoca un aumento dell’attività della proteinchinasi C (PKC) come conseguenza dell’aumentata sintesi ex novo di diacilglicerolo (DAG) dal glucosio. La PKC è implicata in numerose funzioni cellulari e la sua attività, stimolata dall’iperglicemia prolungata, può essere danneggiata. La PKC è coinvolta nella regolazione di numerose funzioni vascolari quali la permeabilità, la contrattilità, la coagulazione, il flusso sanguigno capillare, l’azione ormonale, il metabolismo della membrana basale, la sintesi e l’azione dei fattori di crescita, tutte funzioni che sono alterate nei diabetici. Le alterazioni della PKC si accompagnano, negli organi bersaglio delle complicanze diabetiche, a un aumento dei livelli di DAG. Le alterazioni del PKC e del DAG non sono mediate né dall’alterazione osmotica né dall’azione degli inibitori dell’aldoso-reduttasi, e quindi il loro meccanismo patogenetico è in parte ancora da chiarire;
• La via della glicazione non enzimatica delle proteine. Il glucosio e il fruttosio possono reagire chimicamente con in gruppi amminici di proteine, lipidi e acidi nucleici formando basi di Shiff, prontamente reversibili, e composti di Amadori, più lentamente reversibili. Questi ultimi possono subire autossidazione, con formazione di radicali liberi e di prodotti terminali non reattivi, o a riarrangiamento, con formazione di prodotti intermedi. Tali intermedi possono essere ulteriormente trasformati, tramite reazioni irreversibili , in prodotti terminali di glicazione avanzata (AGE). La formazione AGE ha tre conseguenze : il crosslinking delle proteine extracellulari; alterate interazioni cellule-matrice; la modificazione della struttura e della funzione del DNA. La presenza di queste molecole alterate nell’interstizio richiama inoltre i macrofagi che hanno sulla loro superficie recettori per gli AGE e l’interazione tra AGE e recettori macrofagici determina la liberazione di citochine e fattori dei crescita che concorrono alla proliferazione cellulare e alla produzione di matrice extracellulare;

• Alterazioni dei potenziali redox e stress ossidativi. L’eccesso di glucosio genera un’aumentata produzione di radicali liberi , che esplicano il loro effetto soprattutto sugli acidi grassi polinsaturi, di cui è ricca la membrana cellulare, sulle lipoproteine e sui polipeptidi glicati. Nel DM si è osservata un’aumentata attività di radicali liberi : nello sviluppo e nella progressione delle lesioni sono quindi coinvolti fattori metabolici ed emerge dunque un quadro di infiammazione cronica . Obiettivo di un’efficace terapia farmacologica dovrebbe quindi essere un controllo ottimale del metabolismo glucidico in quanto tale intervento è fondamentale per ritardare la comparsa e rallentare la progressione delle complicanze diabetiche

Stress ossidativi e complicanze

Va sottolineato come le recenti scoperte abbiano fornito una solida base scientifica all’ipotesi che nella patogenesi delle complicanze giochi un ruolo chiave lo stress ossidativo. Lo stress ossidativo definisce una situazione di sbilanciamento tra la produzione di radicali liberi e le difese antiossidanti dell’organismo. Tale squilibrio favorisce l’azione dei radicali liberi dell’ossigeno, specie altamente reattive in grado di danneggiare le membrane cellulari e di avviare gravi processi degenerativi a livello dei tessuti. È oggi dimostrato che lo stress ossidativo svolge un ruolo centrale nella patogenesi delle complicanze, poiché la produzione e il rilascio di radicali liberi sono in grado di spiegare tutte le diverse ipotesi finora proposte sulla patogenesi. Nel DM, il glucosio e le sue vie metaboliche rappresentano la fonte principale di radicali liberi. Sul piano biochimico, il glucosio può originare radicali liberi tramite almeno 3 differenti meccanismi:

• direttamente, per auto-ossidazione;
• a causa della formazione dei prodotti tardivi di glicazione (AGE);
• per l’iperattivazione della via dei polioli.

Questi meccanismo possono, a loro volta, incrementare la sintesi e il contenuto intracellulare di DGA, un attivatore fisiologico della PKC.

Anche lo stress ossidativo è per di sé in grado di attivare direttamente la PKC. Esiste pertanto una correlazione tra i vari meccanismi individuati nella patogenesi delle complicanze, che porta all’attivazione della PKCβ, l’isoforma predominante che viene attivata nei tessuti vascolari in corso di iperglicemia. .

Lo stress ossidativo, alla base dell’attivazione della PKC e della sovra-espressione del VEGF, svolge un ruolo cruciale nell’induzione e nella progressione delle complicanze diabetiche.

L'azione antiossidante a doppio meccanismo d'azione

Quando le difese antiossidanti cellulari non sono in grado di contrastare l'azione delle specie radicaliche dell'ossigeno (ROS) si instaura nelle cellule un processo noto come stress ossidativo, in seguito al quale le piu' importanti classi molecolari ,acidi nucleici, proteine e lipidi vengono danneggiate, con compromissione della funzionalita' e della vitalita' delle cellule stesse. A livello cutaneo i ROS originano anche processi degenerativi.

Un breve cenno sulle proteinchinasi C

Le PKC (proteinchinasi C) sono enzimi appartenenti alla famiglia delle proteinchinasi, in grado di fosforilare (cioè inserire in un gruppo fosfato) alcuni aminoacidi presenti nella struttura delle proteine, in particolare serine e tiroxine. Tali enzimi sono coinvolti nelle funzioni di segnale e nell’attivazione di una varietà di fattori di crescita, tra cui il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), ormoni, neurotrasmettitori e citochine.

La possibilita' di rafforzare le difese antiossidanti endogene, con un apporto esterno di antiossidanti per via alimentare, sistemica o topica rappresenta un'importante strategia preventiva e terapeutica. Un antiossidante puo' agire prevenendo la formazione dei ROS, chelando gli ioni ferro e rame che ne catalizzano la formazione o bloccandone l'azione con una reazione di terminazione che trasforma il radicale in una specie stabile, in questo caso si parla anche di "radical scavenger".

 

Meccanismi antiossidanti nel sistema nervoso

1. Introduzione

Dalla neurogenesi alla modulazione delle attività nervose, molti processi chiave nello sviluppo e nella fisiologia neuronale richiedono l’intervento della glia anche se tradizionalmente l’attività elettrica cerebrale è sempre stata associata all’attività dei neuroni e le cellule gliali sono state considerate elementi non eccitabili con la funzione di costituire un isolante tra i neuroni stessi e fornire loro sostegno meccanico e trofico. Recentemente, questo tipo di visione è stata modificata e, fra i vari tipi di cellule gliali, gli astrociti sono quelli che hanno messo in crisi il dogma secondo il quale “l’attività elettrica del cervello corrisponde all’attività dei neuroni e gli astrociti vengono considerati come “ un secondo cervello”, ossia come elementi fondamentali nella trasmissione dell’impulso nervoso. Gli astrociti sono le cellule più numerose presenti nel Sistema Nervoso caratterizzate da una morfologia stellata che entra in contatto da un lato con i vasi sanguigni e dall’altro con in neuroni. Tali cellule circondano le sinapsi e modulano direttamente la trasmissione degli impulsi nervosi regolandone l’ampiezza e l’efficacia, rilasciando ed eliminando nello spazio extra-cellulare neurotrasmettitori . in questo modo influenzano l’attività dei neuroni circostanti ma, a differenza di questi ultimi, sono dotati di una forma di “eccitabilità” non basata sull’insorgere di un potenziale d’azione, ma su variazioni della concentrazione cellulare degli ioni calcio. Gli astrociti possiedono molti recettori di membrana specifici per i neurotrasmettitori e rispondono ad essi modulando il loro metabolismo energetico. Tra i neutrasmettitori molto importante il glutammato. Quest’ultimo nelle sinapsi eccitatorie modula l’eccitazione del neurone post-sinaptico, stimola l’entrata del glucosio negli astrociti. È stato recentemente dimostrato (Bezzi et al, 2004) che gli astrociti rilasciano il glutammato mediante un meccanismo simile a quello che si osserva nei terminali sinaptici neuronali e sonjo state rilevate anche differenze fra le sinapsi glutammatergiche neuronali e quelle che si instaurano tra gli astrociti.

2. Considerazioni generali sul metabolismo del sistema nervoso

L’assorbimento del glucosio e la sua elaborazione avvengono tramite una serie di eventi “a cascata”. Il primo stadio è costituito dalla liberazione di glutammato a seguito dell’impulso nervoso.. Una volta che il glutammato è penetrato dentro le cellule neuronali, viene trasformato in glutammina grazie all’attività della glutammina-sintetasi, enzima tipico ed esclusivo di queste cellule. La glutammina rientra quindi nei neuroni che, con una serie di reazioni inverse a quelle descritte, riformano le vescicole sinaptiche di glutammato. L’iperstimolazione dei recettori per il glutammato stimola l’attività di lipasi e di fosfolipasi e causa cambiamenti nella composizione, nella permeabilità e nella fluidità della membrana fosfolipidica neuronale provocando la formazione di specie radicaliche. Un difetto nel metabolismo energetico causato dall’azione di radicali liberi può portare a depolarizzazione neuronale, rilascio di glutammato, attivazione di recettori eccitatori, accumulo intracellulare di ioni calcio e conseguente degenerazione neuronale.

3. Danno ossidativo del sistema nervoso

L’eccessiva presenza di radicali liberi, prodotti all’interno delle cellule, è in grado di creare danni a tutti i costituenti ed è responsabile dello stress ossidativo che si verifica solo quando c’è uno squilibrio dovuto ad eccesso di ossidanti. I radicali liberi sono atomi o molecole che hanno uno o più elettroni spaiati nell’orbita esterna, e che si formano naturalmente all’interno delle cellule sia durante i normali processi metabolici, sia in seguito a stimoli esterni ( radiazioni ionizzanti, elevata tensione di ossigeno, sostanze chimiche di varia natura). Poiché gli elettroni per loro natura tendono a legarsi per neutralizzare la loro carica negativa, si crea una situazione di grande instabilità che li porta a cercare un equilibrio appropriandosi dell’elettrone delle altre molecole con le quali vengono a contatto, innescando un meccanismo di instabilità “a catena” in grado di automantenersi ed amplificarsi, finchè il radicale libero non trova un’altra molecola a cui attaccarsi tornando così a una situazione di stabilità (processo di arresto della reazione a catena). Questa serie di reazioni può durare da frazioni di secondo ad alcune ore e può essere ridimensionata o arrestata dalla presenza dei vari agenti antiossidanti.

I processi quantitativamente più importanti nell’innesco e nel mantenimento di queste reazioni sono la riduzione monovalente dell’ossigeno dalla quale si generano l’anione superossido (O2 - ), il perossido di idrogeno (H2O2 ) il radicale idrossilico (OH) e l’ossigeno singoletto ( 1O2 ) e la

perossidazione lipidica. Fra queste specie , i principali responsabili di danni alle cellule aerobie sono il radicale idrossilico e l’ossigeno singoletto. Altri ossidanti sono il mossido (NO) ed il biossido di azoto (NO2), che sono fra i maggiori inquinanti atmosferici presenti nello smog fotochimico. In un organismo sano la presenza dei radicali liberi è controllata, e il loro eccesso viene smaltito. Quando i radicali liberi sono presenti in quantità minima aiutano il sistema immunitario nell’eliminazione dei germi e nella difesa dai batteri, controllano il tono della muscolatura liscia che regola il funzionamento degli organi interni, dei vasi sanguigni e dei globuli rossi. Viceversa, se ne vengono prodotti troppi o il corpo umano non riesce più a controllarli, possono diventare molto pericolosi.. Questo accade però quando le condizioni fisiologiche si alterano improvvisamente o in presenza di patologie croniche (diabete mellito),; in questi casi la mancanza di ossigeno e di sangue manda in “tilt” i sistemi di monitoraggio ed i radicali liberi si accumulano , dove cominciano a danneggiare irreversibilmente i neuroni..

I mitocondri rappresentano una cospicua fonte di radicali liberi dell’ossigeno, che vengono prodotti a livello dei complessi NADH deidrogenasi e dell’ubichinone-citocromo b della catena di trasporto degli elettroni mitocondriali. I mitocondri sono peraltro particolarmente vulnerabili al danno indotto dalle forme parzialmente ridotte dell’ossigeno, in quanto il DNA mitocondriale, a differenza di quello nucleare, non risulta protetto da proteine istoniche e non istoniche e non è ancora stato identificato un meccanismo che provvede alla riparazione dei danni causati alle eliche di DNA.

. Diversi studi hanno dimostrato che esiste una correlazione tra aumento dei radicali liberi ed un aumento dei danni a carico del DNA mitocondriale e che queste modificazioni sono associate ad un rischio di patologie neurodegenerative

Sono stati condotti diversi studi sul ruolo svolto dai radicali liberi in un modello in vitro di Malattia di Alzheimer ed è stato dimostrato che la proteina β- amiloide causa la morte dei neuroni attraverso un’esaltata attività dei radicali liberi. I radicali liberi possono giocare un ruolo importante sia nel danno emorragico, che nel determinare la rottura degli aneurismi cerebrali. È stato osservato che una ridotta capacità antiossidante sistemica incrementa il rischio di emorragia cerebrale. Studi condotti sugli eventi mediati dai radicali liberi nel trauma cranico hanno evidenziato che in questo evento traumatico, oltre al danno meccanico, si verifica un versamento di sangue intraparenchimale o subaracnoideo che innesca molte delle reazioni distruttive dei radicali liberi. Negli eventi acuti si realizza un incremento nella produzione di altre specie radicaliche molto aggressive che provoca morte delle cellule neuronali. Fra i vari fattori di rischio è stata osservata una riduzione delle vitamine antiossidanti nel sangue, che può essere importante per la rottura dell’aneurisma. Uno studio effettuato su 30 casi selezionati di traumi cranici ha evidenziato che nelle prime 20 ore dall’evento traumatico il cervello subisce uno stress ossidativo mediato dai radicali liberi ed ha individuato l’esistenza di una finestra terapeutica entro la quale un trattamento farmacologico antiossidante può avere la massima efficacia.

I radicali liberi sono, quindi, mine vaganti, che possono causare danni molecolari all’interno di ogni cellula, attaccando, infiltrando e danneggiando le strutture cellulari cellulari vitali. I danni di queste autoaggressioni devono essere prontamente riparati, altrimenti possono compromettere la struttra della cellula stessa ed il suo funzionamento.

4. Meccanismi di protezione da danno ossidativo

La cellula possiede dei meccanismi naturali in grado di fronteggiare i radicali liberi contrastandone l’effetto e rallentando i processi di alterazione ed invecchiamento della cellula. Le linee di difesa sono essenzialmente due:

• Eliminare i radicali attraverso reazioni enzimatiche: gli “spazzini” sono in questo caso gli enzimi citoplasmatici o mitocondriali come la superossido dismutasi (SOD) che trasforma il radicale superossido in acqua ossigenata, la catalasi e la glutatione perossidasi che trasformano l’acqua ossigenata in acqua e ossigeno molecolare; l’ossigeno e l’acqua vengono poi escreti dal corpo attraverso l’urina , il sudore e la respirazione;
• Interagire con i radicali cedendo loro l’elettrone mancante e divenendo meno attivi grazie all’azione degli agenti antiossidanti (Vitamine E, A, C, selenio, zinco, glutatione) che, per esplicare la loro azione, si trasformano a loro volta in radicali molto meno reattivi e dannosi, che vengono neutralizzati poi dai sistemi enzimatici cellulari.

Gli antiossidanti non sono una categoria di sostanze omogenee: ne fanno parte vitamine, minerali, aminoacidi essenziali. Tutte queste sostanze sono dotate di una fondamentale capacità: riescono a contrastare efficacemente l’azione dei radicali liberi. Gli antiossidanti possono agire singolarmente o interagire, proteggendosi a vicenda nel momento in cui vengono ossidati. È da tener presente che ciascun antiossidante ha un campo di azione limitato ad uno o due specifici radicali liberi, ed oltre una certa soglia è necessario un apporto esterno di antiossidanti. È stata stabilita una misura del potere antiossidante dei vegetali ed è stata definita una unità di misura chiamata ORAC (Oxygen Radical Absorbance Capacity), secondo la quale ogni individuo dovrebbe introdurre con la dieta una quantità di antiossidanti pari a 5000 unità al giorno. I principali sono: vitamina C, vitamina E, beta-caroteni (provitamina A), polifenoli, bioflavonoidi, selenio, rame, zinco, glutatione, coenzima Q10 , melatonina, ceruloplasmina.

 

Pigmenti vegetali:                                                                                              polifenoli, bioflavonoidi

Vitamine:                                                                                       vitamina C, vitamina E, beta-caroteni

Micronutrienti ed enzimi:              selenio, rame, zinco, glutatione, coenzima Q10 , melatonina, acido urico

 

Antiossidanti e malattie neurologiche

1. Biosintesi ed effetti dei radicali liberi dell’ossigeno

La catena respiratoria è un complesso organizzato di “trasportatori” di elettroni, localizzato nel letto fosfolipidico della membrana interna mitocondrialee deputato al trasferimento sequenziale degli elettroni dai substrati all’ossigeno. L’energia liberatasi durante il flusso di elettroni muove il trasporto di protoni transmembrana creando un potenziale elettrochimico utilizzato per la sintesi di ATP. Durante la fosforilazione ossidativi, il processo mitocondriale in cui l’ossidazione di substrati della catena respiratoria si accoppia alla fosforilazione dell’ADP in ATP, l’energia chimica potenziale dei substrati ossidabili viene commutata in nergia di legame fosforico ( ~ P) e conservata nel legame dell’ATP. L’ossigeno assunto dall’ambiente esterno tramite la respirazione è l’accettore finale degli elettroni sottratti alle molecole. Nel processo mitocondriale l’O2 acquisisce gli elettroni uno alla volta ( riduzione univalente): si verifica dunque la comparsa temporanea di intermedi caratterizzati da un numero dispari di elettroni nell’orbitale più esterno (elettrone spaiato o singoletto). Questa specie molecolare è un radicale libero e come tale ha un’altissima reattività, tenendo a sottrarre alle molecole con cui viene a contatto l’elettrone di cui necessita per ripristinare la normale situazione dell’orbitale esterno a numero pari di elettroni. Altri meccanismi intracellulari, quali l’ossidazione della xantina ad acido urico catalizzata dalla xantina-ossidasi, l’ossidazione dell’acido arachidonico da parte di lipo- e ciclo-ossigenasi e l’autossidazione ferro-dipendente delle catecolamine riducono l’ossigeno con formazione di specie radicaliche. Unja nuova serie di processi radicatici propagativi può poi essere innescata qualora nella cellula sia sufficientemente elevata la concentrazione di ioni metallici (Fe, Cu, Al) in forma libera. I radicali liberi dell’ossigeno possono ossidare componenti cellulari vitali di origine lipidica, proteica e desossiribonucleotidica conducendo alla morte cellulare per apoptosi. Tra i meccanismi cellulari, enzimatici e non, di difesa antiossidante primari si annoverano:

 

a. gli anzimi che bloccano i precursori dei radicali (superossido dismutasi, glutatione per ossidasi, catalasi)

b. le molecole chelanti i metalli (transferrina, lattoferrina, ferritina)

c. le molecole in grado di legare l’O2 singoletto (β-carotene, retinoidi)

d. gli inibitori della xantina ossidasi.

 

Tra i secondari si ricordano molecole idrosolubili quali la vitamina C ed il glutatione che operano nel plasma e nel citosol, e molecole liposolubili come vitamine E, bilirubina ed estrogeni che esercitano la loro azione nel core idrofobico delle membrane cellulari.

 

2. Stress ossidativo, eccitotossicità ed apoptosi

Le disfunzioni mitocondriali associate alla perdita dell’omeostasi del Ca ++ intracellulare e l’incremento dello stress ossidativi sono state da tempo messe in relazione con il danno cellulare eccitotossico, processo derivante dall’iperstimolazione del recettore glutammatergico. La stimolazione dei recettori ionotropi del glutammato, in particolare l’NDMA (N- methyl-D-aspartate) e l’AMPA (α-amino-3-hydroxy-5-methyl-4-isoxazolepropionate) è implicata nei processi di morte neuronale e l’incremento di calcio intracellulare è in grado di incrementare attività enzimatiche (fosfolipasi A2, ossido nitrico sintetasi, xantina deidrogenasi) a loro volta responsabili dell’incrementata produzione di ROS (reactive oxygen species) e di condurre all’apoptosi. Due principali vie apoptotiche (“death receptor pathway” e “mitochondrial patway”) sono state identificate. Nella prima il tumor necrosis factor (TNF), o Fas c-ligand interagisce con i death receptors del plasmalemma determinando l’attivazione della caspasi-8. la capsasi-8 attiva può, a sua volta, attivare direttamente le caspasi-3 e -7 (effector caspases) e determinare il clivaggio di Bid, membro della famiglia proteica Bcl-2 (B-cell-leukemia/linfoma); Bid olivato all’estremità C-terminale (t-Bid, truncated Bid) trasloca nel mitocondrio ed induce il rilascio del citocromo-C creando una connessione tra le due vie apoptotiche. La via apoptotica mitocondriale può essere attivata da vari stimoli cpaci di indurre il rilascio del citocromo C che una volta giunto a livello ialoplasmatico fa inizio alla formazione dell’aptosoma assieme all’Apaf-1 (apoptotic protease activating factor-1). Il complesso è in grado di attivare la caspasi-9, a sua volta responsabile dell’attivazione delle caspasi -3, -6 e -7. La caspasi -3 induce il clivaggio del DNA Ffragmentation Factor (DFF45) a Dff40 dotato di attività di nucleari e responsabile della frammentazione del DNA che caratterizza il fenomeno apoptotico. È forte il legame tra ROS ed apoptosi; l’anione superossido, generato costantemente durante i processi di respirazione mitocondriale, è stato associato all’eccitotossicità da attivazione dell’NDMA, determinando il depauperamento delle riserve energetiche cellulari, l’inibizione dell’aconitasi e prendendo parte al rilascio del citocromo C, a sua volta responsabile di aumentata produzione del radicale libero stesso.

3. Disfunzioni mitocondriali e ROS nella patogenesi dei disordini neurodegenerativi

Il sistema nervoso centrale mostra bassi livelli nell’attività enzimatica di catalasi, superossido-dismutasi e glutatione per ossidasi ed anche in virtù dell’elevato consumo di ossigeno che caratterizza il metabolismo cerebrale e della ricchezza in acidi grassi per ossidabili risulta essere particolarmente suscettibile al danno mediato dai ROS. Inoltre l’elevato contenuto in Fe riscontrabile in alcune regioni del SNC è capace di catalizzare , attraverso la reazione di Fenton, l’ulteriore generazione di radicali reattivi. Disfunzioni mitocondriali e morte cellulare ROS-indotta sono ipotizzate quali causa o concausa nello sviluppo e progressione di importanti disordini neurodegenerativi.

 

A sostegno di quanto finora affermato,e’ utile una rassegna dei lavori scientifici piu’rappresentativi dell’effetto antiossidante del pycnogenol

I ricercatori dell’Universita’ di Messina hanno studiato l’alterata angiogenesi nei difetti della cicatrizzazione correlati al diabete mellito e ad altre condizioni patologiche come base razionale per l'individuazione di trattamenti farmacologici causali e innovativi. E’ stato suggerito che la carente e difettosa riparazione delle ferite osservata nei pazienti diabetici potrebbe essere la conseguenza di una ridotta angiogenesi nell'ambito del processo di riparazione cutanea, causata da un difetto nella regolazione e nella produzione di VEGF e Angiopoietina-1. Inoltre è stato suggerito che applicazioni topiche di eritropoietina potrebbero aumentare la sopravvivenza dei lembi cutanei ischemici con un effetto angiogenico

Nella prima fase del programma topi geneticamente diabetici, con lesioni cutanee sperimentalmente indotte, verranno trattati con alcuni fattori che stimolano l’angiogenesi e cioè l’eritropoietina ricombinante umana (rHuEPO), il VEGF165 o l’ Angiopoietina-1, somministrati come trattamento topico costituito da ciascuna delle proteine mature, o alternativamente come geni codificanti per i fattori di crescita, inseriti in situ nelle cellule coinvolte.

Nella seconda fase hanno studiato l’efficacia di un regime terapeutico con rHuEPO (2000 UI per via sottocutanea,iniettato nel lembo della ferita in un volume di 2 ml tre volte la settimana per 15 settimane) o con la supplementazione per via sistemica con alte dosi di vitamina A (25000 UI di retinolo palmitato) e vitamina E (230 mg di alfa-tocoferolo nicotinato) sulla riparazione cutanea e l’angiogenesi di pazienti diabetici con ulcerazioni delle estremità distali degli arti inferiori.

Questi esperimenti dovrebbero chiarire se l’incremento dell’angiogenesi può rappresentare una valida strategia per il trattamento del piede diabetico neuropatico

Base di partenza scientifica si fonda sul presupposto che la ridotta capacità di cicatrizzazione nei diabetici è il risultato di molteplici fattori quali elevati livelli di glucosio nel sangue, riduzione dell' immunità cellulo-mediata, ischemia locale e generazione di radicali liberi. L'inadeguata ossigenazione, come è stato visto nell'ischemia loco-regionale , causa la produzione di metaboliti estremamente reattivi (denominati radicali liberi dell'ossigeno) che alterano il normale processo di cicatrizzazione danneggiando i cheratinociti, le cellule endoteliali, la permeabilità capillare e il metabolismo del collagene. La cute ischemica presenta condizioni favorevoli per la formazione dei radicali liberi dell'ossigeno da parte dei leucociti, che sono attivati durante l'ischemia. Il rilascio di radicali dell'ossigeno da parte dei leucociti infiltratisi ed attivati causa un danno aggiuntivo poiché più leucociti sono attratti, più il processo viene amplificato. In normali condizioni la generazione dei radicali liberi è controbilanciata dalla presenza di adeguate difese antiossidanti endogene , ma quando la produzione di radicali liberi supera la capacità delle difese endogene, tali metaboliti altamente reattivi possono produrre cambiamenti strutturali, portando ad un danno cellulare reversibile o irreversibile. I radicali dell'ossigeno causano danno tissutale tramite perossidazione lipidica delle membrane e degli organuli cellulari, distruzione della matrice intracellulare e alterazione di importanti processi enzimatici. Inoltre, questi agenti non solo danneggiano i lipidi ma producono come intermedi secondari anche gli idroperossidi lipidici, che possono condurre ad una reazione a catena della perossidazione lipidica. Il fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF ) è una delle più potenti citochine angiogeniche conosciute e promuove tutte le tappe nel processo a cascata dell'angiogenesi . In particolare esso induce degenerazione della matrice extracellulare dei vasi esistenti da parte delle proteasi e causa migrazione e proliferazione delle cellule endoteliali capillari. Vi sono evidenze sperimentali dell'espressione del VEGF e dei suoi recettori durante la cicatrizzazione . Sono stati rilevati alti livelli di mRNA per il VEGF nei margini della ferita e nei cheratinociti che migrano per ricoprire la superficie cutanea . Questi risultati suggeriscono un importante ruolo dei cheratinociti nell'angiogenesi della ferita. Poiché il VEGF è altamente specifico per le cellule endoteliali, è probabile che esso agisca in modo paracrino sulla migrazione capillare nel margine della ferita e del tessuto di granulazione. L'esclusivo rilievo di recettori per il VEGF in queste cellule supporta questa ipotesi . E' stato suggerito che nel diabete sperimentale vi è un difetto nelle modalità di secrezione di questo fattore angiopoietico, che può rappresentare la principale causa di alterata angiogenesi osservata in questa condizione patologica. L'inibizione della lipoperossidazione riporta la cicatrizzazione verso condizioni normali nei modelli sperimentali di cute diabetica e normalizza il difetto nella regolazione del VEGF nelle patologie della cicatrizzazione indotte dal diabete . Questo giustifica la ricerca di bersagli terapeutici innovativi e razionali che consentano di offrire al clinico nuove opportunità terapeutiche . Alla luce di quanto detto un conseguente e razionale approccio potrebbe essere rappresentato dall'uso di fattori angiogenici quali l' Eritropoietina umana ricombinante, il VEGF 165 o l'Angiopoietina 1, somministrati localmente sotto forma di proteina matura o in alternativa come geni codificanti i fattori di crescita all'interno delle cellule bersaglio, per trattare le alterazioni della riparazione cutanea nel diabete sperimentale.

Considerato il rilievo di questa ricerca e’ ipotizzabile , quindi, un regime terapeutico che preveda la somministrazione locale di sostanze antiossidanti quali il pycnogenol , per migliorare la ridotta cicatrizzazione e incrementare l'angiogenesi dei pazienti con ulcere diabetiche neuropatiche alle estremità distali degli arti inferiori.

Nel lavoro pubblicato da Fitzpatrick D.F.et al.del Dipartimento di Farmacologia dell’Universita’ del South Florida,USA (J.Cardiov.Pharmacology 1998 Oct32(4)-509-15) si evidenziano gli effettivascolari endotelio dipendenti del Picnogenol.Nello studio in vitro i ricercatori hanno investigato la possibilita’ che il P. produca effetti vascolari attraverso la stimolazione della produzione di NO (ossido nitrico) da parte delle cellule endoteliali.Nell’esperimento il P. nelle concentrazioni da 1-10ug/ml rilassava preparazioni di sezioni di aorta di ratto integre,contratte da epinefrina, norepinefrina e fenilefrina ,in una modalita’ concentrazione dipendente.

Questo studio si correla con le interessanti valutazioni di Belcaro et al.,Dipartimento di Scienze Biomediche della Universita’ di Chieti pubblicato su Clinical and Applied Thrombosis/Hemostasis , 9-2006 “Diabetic ulcers:microcircolatory improvment and faster healing with Pycnogenol”

Nello studio Belcaro ha somministrato a pazienti diabetici colpiti da ulcere il trattamento a base di Pycnogenol per sei mesi e ha osservato gli effetti del farmaco sullo sviluppo della malattia. Le ulcere venivano medicate ogni giorno e monitorate continuamente per sei settimane. L'area dell'ulcera veniva copiata in un foglio di plastica trasparente e collezionata in un sistema computerizzato che teneva sotto controllo la minima evoluzione della malattia. La ricerca ha quindi mostrato che il Pycnogenol ha una importante proprietà antiossidante che gli permette di migliorare il flusso sanguigno e quindi anche la circolazione del sangue nelle aree a rischio. "Il gruppo trattato con questo farmaco ha mostrato un sensibile aumento della presenza di ossigeno nella pelle e un abbassamento dei livelli di anidride carbonica. – ha spiegato Belcaro – questo ci suggerisce che il Pycnogenol riesce a curare le ulcere aumentando il livello di ossigeno che arriva sulle gambe e sui piedi per mezzo della circolazione del sangue".

Carlo Di Stanislao e Giovanni Bologna dell’Università dell’Aquila hanno studiato l’azione antinfiammatoria e restituiva di un nuovo topico contenente fitoprincipi in veicolo cremoso di tipo evanescente. Hanno evidenziato che un veicolo cremoso contenente flavonoidi (come il picnogenolo) possiede un’azione antiflogistica pronta, data l’elevata idrosolubilità. Come dimostrato fin dagli anni ’80, i flavonoidi incrementano i livelli di elastina e quindi l’elasticità tegumentaria. Altre ricerche condotte nell’ultimo decennio, dimostrano che i polifenoli bioflavonoidi proteggano, con azione proporzionale alla concentrazione, da danni diretti e da accumulo di radicali legati alla irradiazione UV. Tali principi, inoltre, unitamente ai tannini contenuti nel fitocomplesso, svolgono vigorosa azione endotelio-protettrice, paragonabile a quella descritta per la vitamina E.

 

Composizione chimica e proprietà farmacologiche del Pycnogenol


Esso fa riferimento ad un estratto ricavato dalla corteccia del pino marittimo francese (Pinus Pinaster Sol.) secondo un procedimento d’estrazione brevettato che non utilizza solventi clorurati. Questo estratto, studiato fin dal 1953, è da qualche anno ampiamente utilizzato nel settore dell’integrazione alimentare. L'interesse per il PYCNOGENOL è nato (come spesso avviene in questi casi) dall’osservazione che alcune popolazioni utilizzavano la corteccia di alcuni alberi per diversi scopi. Ad esempio gli indiani americani utilizzavano alcuni estratti di pino per produrre certi tipi di medicamenti oppure per conservare i grassi; nella normale dieta dei vichinghi invece era prevista la corteccia di alcune specie di pino. I principali costituenti del PYCNOGENOL sono dei particolari bioflavonoidi, le cosiddette proantocianidine oligomeriche.

Composizione chimica del Pycnogenol

Il metodo estrattivo brevettato (EU 0313441 ed U.S. Patent No. 4 698 360) dalla Horpag Research, Ltd. prevede, in linea di massima, un’estrazione in continuo con una miscela acqua-etanolo della corteccia di pino marittimo, opportunamente polverizzata, proveniente dalle monocolture della baia di Biscay (a sud di Bordeaux).

La composizione chimica del fitocomplesso è alquanto varia, di questo estratto, che si presenta come una fine polvere arancione scuro, è di seguito riassunta:

60-65% proantocianidine oligomeriche

10-15 % flavonoidi monomerici

10-15 % acidi fenolici

<1% vanillina, glucosio, acidi fenolici glicosilati, proantocianidine polimeriche.

La frazione di flavonoidi monomerici e’ principalmente rappresentata dalla (+)

catechina, dalla (-)-epicatechina e dalla taxifolina e dalla taxifolina-3'-O-glucoside.

La catechina, l'epicatechina e la taxifolina possiedono un’efficace azione “scavenger” nei confronti dei radicali liberi. La catechina si è inoltre dimostrata efficace per una sua certa attività antiulcera mentre la taxifolina inibisce alcuni enzimi che producono radicali ossigenati.

Tra gli acidi fenolici si annoverano invece l'acido caffeico, l'acido cinnamico, l'acido fumarico, l'acido gallico, l'acido vanillico, l'acido ferulico, l'acido protocatecuico, tutte sostanze che comunque si ritrovano anche in altre specie vegetali.

L'acido vanillico e protocatecuico sono sostanze la cui capacità antiradicalica e antiinfiammatoria è stata dimostrata. L'acido caffeico è un epatoprotettore e, così come l'acido ferulico, è in grado di stimolare il trasporto della bile dalle cellule epatiche alla cistifellea. Entrambi gli acidi possiedono un eccellente attività antiradicalica e sono in grado di prevenire la formazione dei nitroso composti degli aminoacidi (noti composti cancerogeni); inoltre sono potenti inibitori delle reazioni allergiche e edematogene. L'acido caffeico blocca la biosintesi dei leucotrieni inibendo uno degli enzimi chiave, ovvero la arachidonate-5-lipo-ossigenasi.

Tutte le sopraelencate sostanze contribuiscono all'attività del PYCNOGENOL anche se le sue azioni sono dovute principalmente ai suoi costituenti principali, ovvero le proantocianidine oligomeriche (OPC=Oligomeric Proantho Cyanidins). Le OPC costituiscono una famiglia di polifenoli naturali presenti in diversi frutti e piante, riscontrati in concentrazioni particolarmente elevate nei semi di uva rossa, nel tè verde e nella corteccia di pino marittimo. Nell’estratto di corteccia di pino marittimo le proantocianidine oligomeriche sono formate da un numero variabile di unità flavaniche, in particolare da catechina ed epicatechine. Esse possiedono la caratteristica, se riscaldate in ambiente acido, di fornire antocianidine (da qui la denominazione di proantocianidine) dal tipico colore rosso. La reazione degradativa avviene mediante la rottura dei legami 4-8’ o 4-6’ e produce 1 mole di antocianidina per ogni mole di OPC dimerica, 2 moli di antocianidina per ogni OPC trimerica, ecc.

Le OPC dimeriche sono le più rappresentate nel PYCNOGENOL ; in particolare ne sono state identificate 8 che sono poi state denominate proantocianidina B1, proantocianidina B2, ecc. fino alla proantocianidina B8. La proantocianidina B1 o epicatechina -(4b-8')-catechina dimero , la B3 o catechina-(4a-8')-catechina dimero e la B6 o catechina-(4a-6')-catechina dimero sono quantitativamente più significative.

Nella corteccia di pino marittimo oltre alle OPC dimeriche sono presenti anche una certa quantità di proantocianidine trimeriche, come la epicatechina-(4b-8')-catechina-(4'b-8'')-catechina trimero, oligomeriche, e polimeriche

Proprietà farmacologiche del Pycnogenol

Come premesso nella parte introduttiva, il PYCNOGENOL è stato studiato principalmente per la sua attività farmacologica e per il suo potenziale utilizzo come integratore alimentare o come farmaco. Esistono numerosi lavori che ne dimostrano l’azione farmacologica su vari organi; di queste azioni saranno trattate più dettagliatamente quelle che riguardano solamente il potenziale utilizzo della sostanza in campo cosmetico. Saranno riassunte le principali funzioni farmacologiche del PYCNOGENOL chiarendo ulteriormente il significato della definizione di "sostanza antiossidante".

Ogni sostanza antiossidante ha un suo tipico profilo di funzionalità. Nel organismo vi sono molti tipi di radicali liberi e di radicali perossidici soprattutto nel caso in cui vi siano determinate patologie. Ogni antiossidante agisce su questi sistemi in maniera diversa e con diversa efficacia; inoltre le caratteristiche idrofile o lipofile della molecola influenzeranno il loro distretto di azione. In altre parole la loro solubilità determina dove potranno lavorare e cosa saranno capaci di "proteggere". Le proantocianidine oligomeriche sono notevolmente solubili in acqua, al contrario di molti altri bioflavonoidi come ad esempio la rutina. Questa caratteristica si traduce in un profilo antiossidante unico che rende il PYCNOGENOL una sostanza notevolmente interessante perché, in alcuni protocolli sperimentali, è stata dimostrata una maggiore potenza antiossidante rispetto alla vitamina C ed E e di altri antiossidanti classici. In particolare le OPC sono risultate particolarmente efficaci sia nella fase di induzione, sia in quella di propagazione della perossidazione lipidica.

E' comunque stata anche dimostrata un mutuo sinergismo tra OPC e vitamina C, mà questo era noto da qualche tempo poiché la vitamina C "naturale", ovvero quella contenuta ad esempio negli agrumi, è protetta dal ossidazione proprio dai bioflavonoidi contenuti nella frutta stessa.

A tale riguardo è stato recentemente proposta l’esistenza di una catena di riciclaggio che mette in correlazione i principali antiossidanti endogeni ed assunti con la dieta.

Tale teoria sostiene che la vitamina E è rigenerata dall’ascorbato che a sua volta è riattivato da sistemi enzimatici quali il glutatione (GSH) o dall’acido lipoico (assunto con la dieta). A loro volta tali sistemi ossidati potrebbero essere riattivati da enzimi di riduzione cellulare NADH o NADPH dipendenti. Esistono inoltre evidenze che il radicale ascorbato possa essere rigenerato dai flavonoidi (FlO-); in particolare è stato osservato, utilizzando la spettroscopia ESR, che il PYCNOGENOL prolunga il tempo di emivita del radicale ascorbico in maniera più efficiente rispetto ad altri bioflavonoidi.

Le OPC si sono dimostrate attive anche nei riguardi di alcune cellule del sistema immunitario, in particolare è stata dimostrata una reale protezione dei macrofagi nei confronti dei danni ossidativi prodotti dai radicali liberi. E' stato inoltre dimostrato che la catechina e le proantocianidine dimeriche inibiscono la degranulazione delle mastocellule impedendo così il rilascio di istamina e di mediatori delle reazioni allergiche. E' stato inoltre osservato che il PYCNOGENOL inibisce la formazione di istamina interagendo con l'enzima istidina decarbossilasi. Appare quindi chiaro che il prodotto potrebbe essere utile nel prevenire i fenomeni allergici.

Data la capacità del PYCNOGENOL di inibire la formazione d'istamina il prodotto e stato valutato clinicamente con successo nella prevenzione dell'ulcera gastrica da stress (82% dei casi).

Le OPC possiedono un’azione antienzimatica, dimostrata in vitro, nei confronti di diversi enzimi tra i quali troviamo l'elastasi, la collagenasi, la ialuronidasi, la b-glucuronidasi, in altre parole i principali enzimi coinvolti nel ricambio dei principali componenti del derma e della matrice extravascolare. Inoltre è stato verificato che l'a-1-antitripsina (inibitrice degli enzimi proteolitici), è inibita dai radicali ossigenati con un conseguente aumento dell’attività proteolitica a carico della matrice extravascolare che risulta così indebolita e più permeabile (edema); è stato osservato che le OPC bloccano tale processo agendo sia sulla formazione delle specie di ossigeno attivo, sia direttamente sull’enzima limitandone l'attività. Questa funzione viene supportata in vivo dal fatto che è stato evidenziato, da studi di farmacocinetica, un notevole tropismo delle OPC per i tessuti ricchi di glicosaminoglicani, come ad esempio il derma e le pareti vasali e soprattutto per le strutture extracellulari dei capillari. Inoltre è noto che la vitamina C è necessaria per la produzione del collagene e quindi il fatto che il PYCNOGENOL "protegga" tale vitamina contribuisce sicuramente ad un’efficace azione farmacologica (clinicamente osservata) per tutti quei casi di insufficienza venosa periferica, come ad esempio le vene varicose e linfoedema, retinopatie (microangiopatie della retina).

E' stata inoltre verificata la capacità delle OPC di favorire una normale funzione piastrinica e di prevenire l'ossidazione delle frazioni poliinsature degli acidi grassi delle lipoproteine del colesterolo LDL. Quest'ultimo fenomeno si ritiene sia responsabile di una serie di disturbi della circolazione arteriosa periferica, del microcircolo cerebrale e cardiaco. Il PYCNOGENOL è stato quindi proposto per la prevenzione e per la cura di una serie di patologie cardiovascolari.

Da qualche tempo è oramai conosciuto il coinvolgimento dei radicali liberi e le specie ossigenate attive in numerose forme tumorali. Sono state scoperte anche tutta una serie di sostanze chimiche, presenti naturalmente nella nostra vita quotidiana (inquinamento, fumo di sigaretta, alcune sostanze presenti negli alimenti) che vengono trasformate da sistemi enzimatici endogeni in radicali liberi ad azione mutagena sul DNA. E' stato dimostrato che l'aggiunta di vitamina C e di vitamina E nella dieta degli animali da esperimento riduce statisticamente la probabilità, quando essi vengono trattati con agenti cancerogeni, che questi animali sviluppino forme tumorali. Lo stesso tipo di risultato e stato osservato quando agli animali da esperimento veniva somministrata quercetina. Una dieta ricca di frutta e verdura, in cui sono contenute le vitamine C ed E, il b-carotene, e bioflavonoidi, riduce le probabilità di sviluppare forme tumorali. Le reazioni radicaliche sono coinvolte nei meccanismi delle risposte immunitarie e in quelli dell'infiammazione, meccanismi a loro volta coinvolti nello sviluppo delle neoplasie. Alcuni flavonoidi hanno dimostrato, sia in vitro sia in vivo, di poter addirittura rallentare o fermare la crescita neoplastica. Il grandissimo interesse del mondo scientifico attorno agli isoflavoni della soia testimonia che i bioflavonoidi potrebbero essere la chiave per poter meglio comprendere i meccanismi della crescita tumorale.

Il pycnogenol e' un efficace antiossidante a doppio meccanismo d'azione, perche' agisce sia come chelante che come radical scavenger. Studi in differenti sistemi modello hanno dimostrato che le proprieta' del pycnogenol sono superiori a quelle delle vitamine C, E e del beta-carotene e che il pycnogenol sviluppa un'azione antiossidante sinergica con queste vitamine

Sinergismo tra azione antinfiammatoria e antiossidante

Il pycnogenol riduce la risposta infiammatoria, inibendo gli enzimi coinvolti nel metabolismo dell'acido arachidonico che attiva il processo infiammatorio, (in particolare inibisce la 5-lipoossigenasi. L'importante sinergismo tra azione antinfiammatoria e antiossidante giustifica l'uso del pycnogenol come composto innovativo in formulazioni cosmetiche protettive della pelle e contro l'invecchiamento.

Attivita' vasorilassante e microcircolo cutaneo

L'attivita' vasorilassante del pycnogenol consente di migliorare il microcircolo che nutre la cute. la perdita di elasticita' dei vasi sanguigni periferici, limitando l'apporto di ossigeno. In queste condizioni i tessuti divengono sofferenti, rallentano il loro metabolismo, producendo meno elastina e collagene. L'applicazione topica di prodotti contenenti pycnogenol , rivitalizza i tessuti, prevenendo i danni da stress cutaneo.

Trattamento della cute

l'applicazione topica di formulati cosmetici contenenti solo pycnogenol come principio attivo conferisce tono alla pelle. una serie di sperimentazioni in vitro su colture di fibroblasti del derma, hanno dimostrano la capacita' del pycnogenol di stimolare la proliferazione cellulare e la produzione di collagene da parte delle cellule in coltura. il pycnogenol inibisce l'espressione delle proteasi responsabili della degradazione della matrice collagenica e delle altre proteine intercellulari. La capacita' di rivitalizzare i fibroblasti, l'aumentata capacita' di sintetizzare collagene, il prolungamento della shelf life della matrice proteica intercellulare, non attaccata dalle proteasi, concorrono sinergicamente a limitare l'aging cutaneo della pelle, stressata da fattori ambientali e patologici.. La capacita' del pycnogenol di sviluppare sinergicamente una serie di attivita' biologiche costituisce il razionale di impiego di questa molecola nel trattamento topico della cute del soggetto diabetico in prevenzione primaria e secondaria. In particolare le attivita' biologiche del pycnogenol che concorrono sinergicamente all'efficacia terapeutica della molecola in queste patologie cutanee a eziologia multifattoriale e con una spiccata componente infiammatoria sono: a) la capacita' della molecola di inibire la perossidazione lipidica, di chelare gli ioni metallici e di agire come radical scavenger; b) il suo coinvolgimento in eventi metabolici cellulari rilevanti per questi quadri patologici come la sintesi degli eicosanoidi e il metabolismo lipidico; c) le attivita' antinfiammatoria, vasorilassante, antiproliferativa e estrogenica di questa molecola, ampiamente documentate sia in vitro che a livello clinico.

Formulativa

Il PYCNOGENOL è un prodotto che, una volta messo in soluzione, comincia a subire fenomeni degradativi che portano ad una variazione cromatica (la soluzione tende a passare dall’arancio chiaro all’arancio scuro). In particolare il PYCNOGENOL è estremamente sensibile alle radiazioni luminose. Questo comportamento da una parte qualifica il PYCNOGENOL come sostanza chimicamente "attiva", però diventa assolutamente necessario ed indispensabile stabilizzare il prodotto.

E’ stato osservato che antiossidanti idrofili aggiunti alla soluzione, quali il sodio ascorbil fosfato e l’acido lipoico, proteggono il PYCNOGENOL . I risultati migliori sono stati ottenuti con l’aggiunta di sodio bisolfito ad una concentrazione dello 0,3%.

La matrice cosmetica ideale per tale tipo di prodotto dovrebbe quindi avere le seguenti caratteristiche:

a)-essere totalmente esente da metalli pesanti perché è noto che tali elementi catalizzano buona parte dei processi ossiditavi. Si rende quindi necessario un buon processo di purificazione dell’acqua di lavorazione e l’aggiunta di chelanti (EDTA);

b)-la fase lipofila dovrebbe essere il più possibile inerte ai processi redox (siliconica);

c)-è opportuna l’associazione con conservanti con caratteristiche antiossidanti (BHA, BHT, sodio bisolfito, et..);

d)-è consigliabile l’associazione del PYCNOGENOL con altre sostanze funzionali con caratteristiche antiossidanti, vitamina C, E, A coenzima Q10, b-carotene, acido lipoico, melanine. In particolare bisogna sempre considerare che il PYCNOGENOL è una miscela idrosolubile e perciò il sistema antiossidante ideale per proteggere le OPC deve essere idrosolubile;

e)-la fase acquosa dovrebbe essere protetta dall’ossigeno perciò è comunque consigliabile un emulsione A/O (acqua/olio) o A/S (acqua/silicone) per diminuire i processi di diffusione del O2 all’interno del sistema;

f)-l’introduzione del PYCNOGENOL nella fase acquosa deve essere possibilmente fatta a freddo;

g)-essere protetta dalle radiazioni solari, mediante l’utilizzo di filtri solari e confezionando il prodotto in recipienti opachi alle radiazioni.

i)-il pH finale dell’emulsione deve essere portato a circa 4-4,5 mediante l’acido citrico. A questi valori di pH le variazioni cromatiche sono meno evidenti.

f)-il pH finale dell’emulsione deve essere portato a circa 4-4,5 mediante l’acido citrico. A questi valori di pH le variazioni cromatiche sono meno evidenti.

 

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